Gheddafi emula Saddam Hussein, almeno per la sua calma apparente mentre lancia messaggi al popolo per resistere, e oggi anche all’Islam di sostenerlo. Nel mentre assaggiamo noi napoletani lo sconforto provato da molti siciliani mazzaresi, quando hanno affrontato la trepida attesa del loro peschereccio, sequestrato dalle autorità costiere libiche. Protagonista è il rimorchiatore napoletano “Asso 22” , 75 metri di lunghezza, sequestrato da militari libici, e poi scomparso nella nebbia dei misteri come affermato dall’armatore della “Augusta Offshore”, nella sede partenopea alla Riviera di Chiaia.
Nulla di preciso è trapelato, voci del desiderio della nave di tornare non appena scoppiata la guerra, alle quali si è aggiunto il consiglio di non muoversi dalla zona per evitare conseguenze peggiori, e ciò si è riversato nella sensazione che il governo ne sappia meno di tutti, anche se poi afferma di monitorare la rotta della nave. Tra risposte e ipotesi, diametralmente opposte e tutte inserite nella laconica discussione del momento, svestita sia da ipotetiche richieste di riscatto che da trattative, attendono gli eventi le famiglie di 11 componenti dell’equipaggio, tra cui un ischitano, un torrese e altri campani, tuonando contro le autorità italiane che non informano. Sono reazioni normali, come normale è la preoccupazione e il silenzio, fratelli gemelli della stessa genitrice, che si chiama guerra. Credo sia possibile che la nave costituisca al momento l’ennesimo “asso” nella manica del rais, che altresì sa bene che non è il caso di inimicarsi ulteriormente l’unico popolo che ha in realtà molti dubbi sull’azione contigua anglo-francofona.
L'Asso 22 due anni fa, si è distinta per una fondamentale operazione di soccorso di immigrati, mettendone in salvo più di 400 al largo delle coste libiche. In quel periodo il rimorchiatore, mentre controllava tre piattaforme petrolifere al largo della Libia, incrociò una delle cosiddette “carrette del mare” in evidente stato di difficoltà, che venne agganciata e poi trainata fino al porto di Tripoli. Il nostro indomito valore militare misto al senso di umanità, cozza con le necessità sull’approvvigionamento di greggio, che in Libia ci riguarda in maniera particolare. Oggi molti blog parlano di intervento mirato per interessi anglo statunitensi, visto che la Libia possiede il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, corrispondenti a più del doppio di quelle degli USA. Le riserve di petrolio libiche, pari a 60 miliardi di barili, e 1500 miliardi di metri cubi di riserva di gas, corrispondono a valori molto inferiori alla capacità produttiva del Paese nord africano, e gli interessi derivanti da vuoti di potere o dissesti militari, possono facilmente indurre a giochi di accaparramento indiscriminato, visto che molti mirano a raggiungere il valore produttivo almeno equivalente a quello di Paesi islamici con a capo Iran e Iraq. Tra dubbi e ombre, resta il fatto che noi giochiamo le nostre carte nel momento meno indicato per perdere quota nel Mediterraneo, e se Gheddafi decide di giocarsi ennesimi assi nella manica per un accerchiamento che restringe sempre di più il suo raggio d’azione, credo sia per il valore fondamentale delle nostre navi con precisi compiti, senza perdere quel senso di fratellanza, che in questi giorni si è saldata ricordando i 150 anni dell’Unità d’Italia. Tutto ciò suona come un monito a non mollare mai, anche quando un compito delicato si traveste dall’ennesima sparizione sospetta.
BRUNO RUSSO
Fonte: Bruno Russo