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11/02/2008 ARTICOLI  
Bruno Russo-TORNA A SURRIENTO ( da 'Il ROMA' del 06/02/08 PAG. 22 )
A cinque mesi circa dalla sua scomparsa, la prima brezza primaverile, che non e' non un azzardo, visto la quantità di mimose sugli alberi, mi ha portato nelle note di un profumo antico, il ricordo di un’interpretazione integerrima: quando se ne va un grande, che ha trasformato il talento in icona dell'arte
musicale, non si dovrebbe parlare solo con i termini della tristezza, ma
guardare in alto e scorgere, attraverso la propria sensibilità, una luce
aggiunta che rende più libero, chiaro e terso il cielo che ci sovrasta.
Allora, trascurando con piacere le magagne del testamento, eguali a tante,
fatte di invidia e di rivendicazioni, legittime come la mancanza di rispetto che non si deve ad una tale assenza, utili solo a colorare la copertina del media rotocalco, resta solo la sua voce memorizzata teneramente.
Una voce che è stata la vera opera omnia di un personaggio, che per
definizione ha urlato la bellezza dell’esistere per anni, una lirica alla quale è concatenata la certezza che uno come lui sia andato in un posto dove il buio non esiste. Stante la laconica descrizione di un’emozione che ha trapassato anche chi non lo seguiva particolarmente, come me, come un
rigurgito mi sovviene dal profondo il ricordo della sua canzone che toccava
maggiormente il mio cuore: torna a Surriento. Sembra una canzone triste ma
è un canto di gioia nella solitudine dei tempi andati, dove le immagini della costiera partenopea odoravano ancora di tante uniformi militari, di
stranieri che nelle nostre zone incontravano solo amore, come un frutto
della terra. Lo gridavano i gabbiani, le massaie e i pescatori nei momenti
più terribili e lo gridava lui, con la forza di chi vuol lasciare un
marchio nella forza intellettiva del ricordo. Lo hanno apprezzato tutti,
perché Luciano ha attraversato tutta la musica, arrivando in uno di quei
punti attesi, ove, sarà per l’esigenza del nuovo secolo di raccogliere
tutto sotto un’unica egidia, è riuscito a raccordare il tecnicismo di
Placido Domingo, all’urlo irlandese di Bono leader del complesso rock
degli U2. Sono questi i miracoli; quando si riesce a mettere d’accordo i
due estremi dell’arte; ma “ torna a Surriento “ è il suo grido, del tenore
che deve pagare a iosa la sua stessa origine e natura, come quella di un
pescatore del mare vicino a Capri, con l’unica differenza che il primo paga
l’esposizione del proprio slancio e le controindicazioni della notorietà.
Occorre dire che uno come lui, dalla sua Modena, ha attraversato tutto il
mondo per esprimere versatilità e passionalità in dosi non consigliate dal
medico, grosse come quel gigante buono che egli era: uno con gli occhi
grandi e quasi sempre lucidi, non può che essere l’espressione di bontà
canora, espressa con reciproche emozioni che nessuno di noi può dire di non
aver provato sulla propria pelle, almeno una volta. Pavarotti è stato uno
dei rari momenti nei quali l’Italia si unisce, si unisce il mondo, una
musica adatta ad ogni momento nel quale, al silenzio che circonda una
meraviglia della natura, deve circolare necessariamente nell’aria, una
colonna sonora. Una sola riflessione aggiungerei al coro scontato di elegie
leziose, che egli senza dubbio merita e che non spetta a me replicare:
Luciano Pavarotti era un superstizioso, come un buon napoletano, ma indotto
da una sensazione purtroppo assai comune nel campo artistico e musicale,
nata dal binomio “successo uguale ad invidia”. Il mondo dello spettacolo è
il proscenio del dramma, ove si intersecano gli allori e l’antica
tradizione di povertà e semplicità che vi stà dietro. Torna a Surriento
invece è per me la forza di volontà di un uomo che si avvicinato a tanti con il fare di chi crede nella vita , li ha uniti e accompagnati con le
paradisiache note della sua somma voce; esiliando coloro che si
affaticheranno per rivendicarne le spettanze.

Bruno Russo
Fonte: Bruno Russo
 

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