Bruno Russo- NON E' PREVEDIBILE MA... ( da 'Il ROMA' del 11/04/07 pag. 27 )
La tragedia abruzzese ha posto in questi giorni un serio interrogativo che interessa anche noi napoletani, vista la presenza inquietante del Vesuvio con tutta la densità abitativa che lo circonda: si può prevedere il terremoto? Se con il termine “prevedere” si intende una pratica affine a colui, che con la palla di vetro o con uno strumento qualificato di indiscussa precisione metrologica, può dare il preavviso di una imminente catastrofe, la risposta è sicuramente “no, non si può avere certezza”; ma resta altresi vero che nessuno ha mai pensato di adoperare i mezzi che la tecnologia e la mineralogia possiede per costruire un programma probabilistico , che possa essere dopo un periodo di prova, adoperabile per fornire in caso di serio pericolo, degli avvertimenti, con gli opportuni cuscinetti mediatici abili a non creare l’inutile e dannoso caos. Prima di tutto occorre ribadire senza entrare nei minimi particolari, che da tempo si sta monitorando l’andamento del ph nelle falde acquifere partenopee di aree notoriamente collegate con il Vesuvio, che si trovano anche nella zona fregrea e dei “Pisciarelli” in prossimità dell’Ippodromo di Agnano. Se l’andamento dell’acidità in queste zone presenta brusche variazioni, irregolari rispetto alla banca dati dei fenomeni normalmente registrati, vuol dire che c’è qualcosa che va approfondita. Proprio un’analisi del genere, avvenuta parecchi anni orsono, permise dopo un inutile allarmismo per alcune informazioni “sfuggite di mano” da qualche addetto ai lavori, di scoprire il famoso “tappo” che esiste in prossimità del cratere principale del nostro vulcano, e che sicuramente è fonte di attività irregolare ma contenuta negli effetti, anche se qualche studioso è convinto che in occasione di una futura eruzione, tale ostruzione rappresenterebbe un coefficiente addizionale dell’energia esplosiva emessa. Per quanto riguarda poi il terremoto dell’Abruzzo, occorre ribadire che esso è stato preceduto da uno sciame sismico che si è spostato lungo la dorsale appenninica italiana, con medio piccole scosse che sono avvenute in primis nell’Emilia Romagna, per poi espandersi verso il basso, e poi ritornare come intensità verso l’alto dopo la moltitudine delle scosse di assestamento che si sono concentrate intorno all’epicentro. Non so se assemblare un programma probabilistico, da muovere proporzionalmente con un opportuno intervento sul territorio e sugli abitanti dei posti a rischio, possa rappresentare oggi una soluzione approssimata e costosa, ma non si può negare che non si è in presenza di una ipotesi improba dal punto di vista tecnologico. Quando ci fù il terremoto del Friuli, gli stessi esperti informarono per la prima volta, che si era in presenza di uno spostamento dell’Africa verso l’Europa, che poteva produrre in futuro una serie di terremoti più o meno gravosi, in concomitanza con la conseguente rotazione del nostro stivale secondo un complicato fenomeno di scorrimento di faglie, l’una sotto l’altra, per ridisporre l’equilibrio finale. Una deviazione angolare che avrebbe interessato una specie di torsione lungo l’asse più roccioso che è per l’appunto l’appennino tosco emiliano. Tutto ciò non deve rappresentare allarmismo, ma considerare che come in ogni scoperta tecnologica avvenuta nella storia, non si deve denunciare chi a queste cose ci ha pensato e si è anche azzardato a lanciare un sos. Si rischia di rappresentare quella sorta di scetticismo che ha sempre accompagnato le scoperte importanti e che poi nel tempo, hanno costituito la letteratura della cultura del genio nostrano, incompreso sul proprio suolo e tardivo nell’assegnazione della ragione finale.
Bruno Russo
Fonte: Bruno Russo
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