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GIULIO CESARE ANDREA detto JULIUS EVOLA
Giulio Cesare Andrea Evola nasce a Roma il 19 maggio 1898: le prime notizie sulla sua vita le si trovano nelle pagine de Il cammino del cinabro, il libro considerato la sua autobiografia interiore. "Nella prima adolescenza si sviluppò in me un interesse naturale e vivo per le esperienze del pensiero e dell’arte. Da giovinetto, subito dopo il periodo dei romanzi d’avventura, avevo messo in mente di compilare, assieme ad un amico, una storia della filosofia a base di sunti. D’altra parte, se già mi ero sentito attratto da scrittori come Wilde e D’Annunzio, presto il mio interesse si estese, da essi, a tutta la letteratura e l’arte più recenti. Passavo intere giornate in biblioteca, in un regime serrato e libero di letture. In particolare, per me ebbe importanza l’incontro con pensatori come Nietzsche, Michelstaedter e Weininger" . Gradualmente cominciò ad avvicinarsi alla cultura avanguardista di quel periodo: Marinetti e il futurismo, Giovanni Papini e il suo giornale Lacerba, Tristan Tzara e il dadaismo. Dal carteggio con il caposcuola Dada si evince il profondo spessore del giovane Evola, che in prima persona si impegnò nell’arte dipingendo quadri che lo rendono di fatto il più importante artista dada italiano. Scrive Riccardo Paradisi a proposito dei quadri dell’Evola dadaista: "Sono pitture, queste, le cui geometrie metafisiche sprigionano un’aurea come quella di alcune poesie, scritte sempre in quegli anni. Una dedicata all’alba recita così: " A levante ora il cielo si diluisce / ha dissonanze in roseo / mentre giungono lentamente impolverati i suoni flautati " Evola espone i suoi quadri nelle gallerie di Roma e Berlino, collabora alle riviste Bleu e Noi e scrive un importante testo teorico sull’arte: Arte Astratta (1920), definita da Massimo Cacciari "uno degli scritti filosoficamente più pregnanti delle avanguardie europee", e pubblica poemi e poesie nel 1921 in un volume intitolato Le parole obscure du paysage intérieur . Intanto, nel 1917 aveva partecipato alla Grande Guerra come ufficiale di artiglieria: viene assegnato a posizioni di prima linea vicino ad Asiago dove presumibilmente hanno inizio le sue meditazioni sulle vette e le avvisaglie della concezione della montagna come sito di esperienza/risveglio interiore. Di ritorno dalla guerra, scopre il senso di assurdo verso il mondo che lo circonda. Scrive nel Cinabro: "…col compiersi del mio sviluppo, si acutizzarono in me l’insofferenza per la vita normale alla quale ero tornato, il senso dell’inconsistenza e della vanità degli scopi che normalmente impegnano le attività umane. In modo confuso ma intenso, si manifestava il congenito impulso alla trascendenza."

E’ questo il periodo in cui inizia a fare uso di sostanze stupefacenti, per "cercare di placare, in qualche modo, la sua fame di Assoluto". Evola non rinnegherà mai tale esperienza, ma ci terrà a sottolineare che mai divenne schiavo dei narcotici e in seguito a quel periodo non ne sentì più né il bisogno né la mancanza. Nel 1921 smette di dipingere, nel 1922 cessa anche di scrivere poesie: è il periodo più critico della sua vita. Scrive in una lettera indirizzata a Tristan Tzara e datata 2.7.1921: "Vi prego, caro amico, di voler perdonare il mio silenzio. Mi trovo in un tale stato di spossatezza interiore che il solo fatto di pensare e di prendere la penna richiede uno sforzo del quale spesso non sono capace. Vivo in un’atonia, in uno stato di stupore immobile, nel quale si gela ogni attività e ogni volontà. In tutto ho la percezione molto chiara della decomposizione delle cose che vanno a precipitarsi in un centro, per diventare vento e sabbia. […] Vi prego, caro amico, di non voler vedere del sentimento in tutto ciò: è cosa assai più seria, in quanto non trovo più la vena di fare a meno di questa avventura, che costituisce la conseguenza logica di tutto il processo vitale e intellettuale che ha avuto inizio con l’origine stessa della consapevolezza delle mie facoltà. […] In fin dei conti, penso di avere a che fare oggi con l’espressione completa e perentoria in quanto categoria vitale, di ciò che in precedenza viveva solamente come categoria intellettuale o compromesso di ordine estetico. […] Vi ripeto, sarei oltremodo felice di poter trascorrere qualcuno di questi ultimi giorni della mia vita in vostra compagnia […]" Evola ha 23 anni, l’età in cui si suicidarono Weininger e Michelstadter: l’estraneità a sé stesso e al mondo lo porta a decidere di chiudere anche lui l’esistenza terrena. Ma accade qualcosa: "Questa ‘soluzione’ fu evitata grazie a una sorta di illuminazione che ebbi anche leggendo un testo del buddismo delle origini, che recitava così: " chi prende l’estinzione come estinzione, e presa l’estinzione come estinzione pensa all’estinzione, pensa sull’estinzione, fa propria l’estinzione , costui, io dico, non conosce estinzione ". Fu per me come una luce improvvisa, in quel momento si produsse in me un mutamento, il sorgere di una fermezza sopita in me stesso che mi rendeva capace di resistere a qualsiasi crisi".

Si chiude così la fase della sua breve crisi esistenziale, e comincia il periodo della sua produzione più prettamente filosofica: già nel 1917, in trincea (!), aveva iniziato a scrivere Teoria e Fenomenologia dell’Individuo Assoluto, opera conclusa nel ’24 e pubblicato dalla casa editrice Bocca in due volumi: Teoria dell’Individuo Assoluto, data alle stampe nel 1927, e Fenomenologia dell’Individuo Assoluto, edita nel 1930.

In tali opere il pensatore romano coniuga la sapienza estremo-orientale, gnostica e ascetica, con il tentativo di superamento dell’opposizione Io/non-Io nell’ambito della filosofia idealistica. Nel 1926, nelle edizioni Atanòr, appare L’Uomo come Potenza, opera incentrata sulla dottrina del tantrismo e sui suoi significati trascendenti e iniziatici. E’ il periodo in cui Evola, ormai conosciuto come "il Barone" (soprannome dovuto probabilmente alla sua origine sociale), scrive sulle riviste Ultra, Ignis, Bilychnis, entra a far parte del ‘Gruppo di Ur’ un circolo di spiritualisti, teosofi, kremmerziani del quale è coordinatore. Il Gruppo pubblica una serie di fascicoli che Bocca nel ’55-56 riproporrà parzialmente in tre libri intitolati Introduzione alla Magia quale Scienza dell’Io. In quegli anni il fascismo vede la sua ascesa e il suo consolidamento politico. Il rapporto tra Evola e il fascismo può essere ben compreso leggendo queste righe scritte dal filosofo stesso:

"..Poiché, come si è detto, manca all’Italia un vero passato " tradizionale ", vi è chi, nel cercare di organizzarsi contro gli schieramenti più spinti della sovversione mondiale, per avere una qualche concreta base storica ha fatto riferimento ai principi e all’esperienza del fascismo. Ora, il seguente principio fondamentale dovrebbe restare ben fermo: che se idee " fasciste " meritano ancora di essere difese, esse dovrebbero esserlo non in quanto " fasciste ", ma in quanto, e per quel tanto, che esse hanno rappresentato una forma particolare di apparire e di affermarsi di idee anteriori e superiori al fascismo, di idee che hanno l’anzidetto carattere di " costanti ", sì che possono già ritrovarsi come parti integranti di tutta una grande Tradizione politica europea."

Julius Evola, che mai si tesserò al PNF, ebbe quindi con il regime mussoliniano un rapporto ambivalente: ne guardava con favore gli aspetti per l’appunto tradizionali, che in parte il fascismo espresse, manifestando però un radicale dissenso verso altre sue caratteristiche, come il populismo, lo squadrismo, una certa mentalità ‘borghese’ e tutti gli elementi che si opponevano all’Idea Tradizionale.

Nel 1928 con Imperialismo pagano il Barone dà voce a tutto il suo vigore anticristiano esortando i vertici del fascismo a rompere il compromesso con il mondo cattolico. L’opera, letta anche in carcere da Antonio Gramsci, è una critica agli sviluppi del fascismo sulla stessa lunghezza d’onda degli interventi su Lo Stato Democratico e Il Mondo, giornali cui collaborò nel 1924-25. Di questo periodo sono i carteggi con Benedetto Croce e Giovanni Gentile: con il primo, Evola intrattiene un rapporto epistolare per la pubblicazione delle sue opere filosofiche presso Laterza, con il secondo il motivo dell’epistolario sta nella collaborazione del Barone all’Enciclopedia Treccani. Nel 1930 fonda il periodico La Torre, giornale che ‘resiste’ alla censura del regime soltanto dieci numeri, fino al 15 giugno di quell’anno, nel quale aveva continuato ad esprimere le sue posizione improntate al rigorismo tradizionale non esenti da critiche verso il regime. Nel 1931 pubblica La Tradizione Ermetica, volume nel quale viene studiato approfonditamente l’esoterismo medioevale, nella sua forma alchemico-ermetica: l’alchimia, ben lungi dall’essere un’antenata della moderna chimica, viene indagata nella sua realtà effettiva, quella di Ars Regia, cioè di un insegnamento iniziatico esposto usando il simbolismo dei metalli e la trasmutazione di essi. Nel 1931 dà alle stampe Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, opera dissacratoria nei confronti degli ambienti spiritualistici e delle ripetute profanazioni delle dottrine esoteriche. In questi anni egli collabora a La Vita Italiana di Giovanni Preziosi ma soprattutto a Il Regime Fascista di Roberto Farinacci, dove nella rubrica "Diorama Filosofico", sulla quale appaiono anche interventi di René Guénon, continua la sua serrata critica verso tutti gli aspetti antitradizionali (demagogici, totalitari, borghesi) del fascismo: la sua milizia intellettuale che tende verso un’aristocrazia dello spirito, e che tanto somiglia ai principi del Templarismo ,di contro agli pseudo-valori umanistici, liberali, piccolo-borghesi è continua e non conosce compromessi.

Il 1934 è l’anno della pubblicazione di Rivolta contro il mondo moderno, l’opera considerata più importante di tutta la sua produzione. E in effetti Rivolta è una tappa essenziale per coloro che vogliono avvicinarsi a Julius Evola. Che in questo libro, in riferimento al quale il poeta Gottfried Benn scrisse: "Dopo averlo letti ci si sente trasformati" espone tutto lo scibile sul mondo della Tradizione, e contrappone il mondo tradizionale (da intendersi come una realtà soprastorica, un ‘modello’ rispecchiato dalle diverse esperienze contingenti) a quello moderno: ed è soprattutto l’apertura verso la trascendenza a creare una scissione fra le due "categorie". "Rivolta è un’opera unica: pensata secondo un metodo ‘scientifico’ , attenta alle varie acquisizioni nei diversi campi del sapere, propone al tempo stesso una interpretazione mitico-simbolica della storia del mondo. Per tale motivo ha potuto resistere al trascorrere dei decenni ed essere ancora valida nel Terzo Millennio. L’opera risale alle cause che hanno prodotto il mondo attuale, indica i processi che hanno esercitato già da tempo un’azione distruttiva contro ogni valore, ideale e forma di organizzazione superiore dell’esistenza. […] Con uno studio comparato delle varie civiltà, indica ciò che nei domini dell’esistenza può rivendicare un carattere di normalità in senso superiore: così per lo Stato, la legge, l’azione, la concezione della vita e della morte, il sacro, il sesso, le articolazioni sociali, la guerra ecc" (Claudio Risé). Il 1937 è l’anno di due pubblicazioni importanti: la prima è Il Mistero del Graal, opera in cui Evola basandosi su tutti i testi originali della leggenda e di cicli affini, precisa il senso reale della ricerca del Sacro Calice, mistero che non ha un carattere astrattamente mistico, ma iniziatico e regale, che si lega a una tradizione anteriore e preesistente al cristianesimo, e che viene analizzato disvelandone i simboli, gli elementi metafisici e i profondi significati. Il mito del sangue, edito da Hoepli sempre in quell’anno, è invece il primo importante volume ‘dottrinario’, racchiudente studi sull’etnologia che il Barone aveva cominciato da tempo. La penna del filosofo romano si abbatterà con veemenza sulle scempiaggini del razzismo biologico, del quale egli è fiero avversatore, anche con Sintesi di dottrina della razza, pubblicato nel 1941: Evola si basa su una concezione spirituale e antiegualitaria dell’uomo, che lo porta ad un "differenzialismo" tipico del mondo tradizionale che si esplica anche in una gerarchizzazione delle razze umane; ma egli, malvisto dai vertici della Germania Nazista per le sue teorie, ripudia il razzismo biologico e l’idea che il colore della pelle possa essere, in quanto tale, determinante per il valore di un uomo. Il razzismo di Evola, detto razzismo dello spirito, ha un ‘triplice volto’: corpo, anima e spirito. Quello che a Giorgio Almirante già nel ’42 appariva come un " razzismo da buongustai " , gravita attorno alla nozione qualitativa di Razza dello Spirito, di cui la razza del sangue, o del corpo, sarebbe puro "simbolo, segno o sintomo".

Un’idea differenzialista e aristocratica che, se sdegna le teorie naziste alla Rosenberg perché naturalistico-biologiche, accentua via via i contenuti razzisti e vede nell’appartenenza etnica, intesa appunto come trasposizione materiale antideterministica di valenze spirituali, un valore.

Alla caduta del regime fascista, l’8 settembre ’43, Evola si trova in Germania, dopo una serie di viaggi che lo avevano portato, tra l’altro, alla conoscenza di Corneliu Zelea Codreanu nel 1938. Decide di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, nello stesso anno in cui pubblica per Laterza La dottrina del risveglio, interessante saggio che rivela il carattere aristocratico e guerriero del buddhismo delle origini. Nel 1945 si trova coinvolto in un bombardamento, a Vienna, sul finire della guerra, incidente che gli costerà una paralisi definitiva agli arti inferiori.

Questo evento non scalfisce tuttavia la sua attività intellettuale: nel 1950 scrive Orientamenti, i famosi "undici punti", una sorta di " ricetta esistenziale " per attraversare indenni il caos del Terzo Millennio., che troveranno la loro estensione e un ampio approfondimento ne Gli uomini e le rovine, apparso nel 1953. Sulla stessa lunghezza d’onda, dopo Metafisica del sesso, uscito nel 1958 ( opera originalissima che analizza il mondo dell’eros da prospettive ben superiori a quelle del semplice sentimentalismo, della carnalità o della psiche, prospettive tendenti a ritrovare, nell’esperienza sacrale del sesso, un ‘barlume di trascendenza’ ), nel 1961 darà alle stampe Cavalcare la tigre, libro definito da Piero di Vona "un breviario per non credenti". Il titolo di quest’opera, riprende un antico detto orientale: la tigre simbolicamente rappresenta il non-io, l’altro da sé rispetto all’uomo. Il tipo di uomo differenziato, in quest’opera considerata una reinterpretazione in senso personalistico dell’anarchia ("anarchia" intesa alla stregua dell’anarca di Ernst Junger) viene esortato a trasformare il veleno in farmaco, a "misurare sé stessi con una difficile misura" appunto a ‘cavalcare la tigre’, ovvero a dominare le avversità, le insensatezze e le difficoltà che gli si pongono davanti: chi si tiene saldo sulla tigre, non può essere disarcionato, né la tigre può colpirlo. Nel 1963 Volpe pubblica Il fascismo visto dalla destra, opuscolo nel quale dà alla luce un’interpretazione su base tradizionale del Ventennio. E ribadisce, ancora, il carattere solo parzialmente tradizionale di esso. E’ l’ultima fase della vita del Barone, quella in cui Almirante lo definiva "Il nostro Marcuse, solo… un po’ più bravo" , quella in cui collabora a diverse testate giornalistiche, fra cui Il popolo d’Italia, in cui fonda la collana Orizzonti dello Spirito per le edizioni Mediterranee, e in cui la sua salute comincia a peggiorare. E’ il ’68 l’anno del primo scompenso cardiaco acuto, che si ripeterà nel 1970.

Julius Evola abbandona l’esistenza terrena martedì 11 giugno 1974: il suo corpo viene cremato e le sue ceneri vengono seppellite per una parte in un punto indeterminato del Monte Rosa, le altre disperse al vento.

Si conclude così l’itinerario esistenziale di un uomo, di un pensatore, un filosofo cui è necessario, condividendo o meno la sua impostazione, riconoscere un’alta, inespugnabile e fierissima dignità.


 

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