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09/11/2005 CULTURA  
Bruno Russo- EL CONDOR PASA
Nel talamo infante soffiavi sul mio viso quel calore affranto : pur essendo l’uccello delle valli andine avevi voluto fare da padre a me, un bianco coniglio che era uscito da un guscio e voleva volare come te attraverso la vita. Una volta mi portasti ad assaggiare l’aria. Credevo anch’io di volare, all’inizio mi sembrava di cadere ma poi ho sentito la forza del tuo amore, l’arto che mi teneva stretto e non mi avrebbe lasciato andare nemmeno se colpito da un dardo al curaro. Vedevo le nostre verdi terre innespate sulla schiuma del mare, prima del disastro che ha ricoperto tutto e ci ha cambiato la pelle e la vita. Dopo diventasti un altro, non mi riconoscevi, non mi portavi a volare, il tuo coniglio bianco non rappresentava l’istinto paterno che mi aveva permesso la crescita. Sei diventato cattivo, le tue penne non erano lucide e non mi guardavi se non il giorno che la solitudine e la fame ti imposero di mangiarmi lacerando le mie carni come impazzito, preso da una necessità che non avevi voluto valutare perché io non c’ero più dentro di te, il dolore ti aveva divorato con la stessa forza disperata con la quale tu divorasti me, per poi adagiarti accanto all’albero per cercare di dormire. L’aria intorno non era più dolce e sapeva di sangue, anzi tutto il cielo sapeva di sangue e si era colorato di rosso. Tu non riuscivi a dormire, ti stavi di nuovo trasformando. Il male che avevi ricevuto ti aveva rovinato ma quello che hai voluto fare a me ti ha fatto capire qualcosa, l’errore, il peccato, la perdita, il danno. Nella valle è ritornata la luce e ti ha accecato, tu non la sopportavi più ed hai iniziato a volare quanto più alto potevi, attraverso le valli e le Ande, da Eldorado a Tulum, per tutta la terra hai disegnato un cerchio di sangue emettendo quel grido soffocante e pauroso che viene da un’anima ferita a morte per sempre. Da allora voli più alto aspettando di non farcela più e cadere inesorabilmente al suolo sfracellando finalmente le tue stanche membra e riposare lì, con il ricordo di quella gioia infante che mi desti un tempo. Io sto nell’aria, appartengo a questo mondo ma non a questa vita, ti vedo passare alto, impazzendo sempre di più ma nulla ti impedisce di emettere quel grido di dolore che rappresenta adesso il verso del condor. Qualcuno mi disse che altri popoli sulla terra faranno come il nostro, verranno lacerati dal proprio Dio che per amore continuerà in eterno ad urlare il proprio dolore. Sarà il dolore del tempo, delle attese, i tormenti per non potere nella vita stare accanto a chi si vuole per sempre. Un vecchio indiano, ogni volta che ti vede passare parla da solo ma io so che prega, si fa dei segni sul corpo e poi guarda per terra, raccoglie una manciata di polvere e la butta nel vento, poi si inchina. Si inchina proprio nel momento in cui tu passi perché avrai in eterno il dolore di un padre .

Bruno Russo









Fonte: Bruno Russo
 

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